Il Centro Culturale Virginia Woolf-Università delle Donne

Riflessioni a margine

Tra le esperienze politiche che hanno tracciato la storia di molte, il Centro Culturale Virginia Woolf ne rappresenta un momento importante.

1979 nasce il progetto del Centro culturale Virginia Woolf

La data è il 1979, anno in cui nasce il progetto del Centro culturale Virginia Woolf, centro di sapere in cui assume centralità la soggettività femminile per una lettura critica della cultura tradizionale e per l’elaborazione femminista di strumenti di analisi teorica e pratica. Protagoniste dunque le donne, soggetti di conoscenza, di sapere, di parola su sé stesse e sul mondo.
 Leggere il materiale di archivio sul Virginia Woolf è un’esperienza complessa, in un primo momento tutto sembra così lontano dal nostro tempo, ma scoprendone a mano a mano gli sviluppi, gli scambi, gli inciampi e le risalite, ci si ritrova a interrogarsi sul presente, a sentirsi invece molto vicine a quell’esperienza di conoscenza.

1981

Così come espresso nel Programma del 1981[1], il centro nasce dal movimento delle donne degli anni ’70, anni di forte scontro con le istituzioni, in cui si andava analizzando e ridefinendo il rapporto contraddittorio delle donne con la cultura, la politica, le istituzioni, partendo dall’analisi e dalla condivisione dei saperi delle donne. La cultura e le classiche dicotomie su cui questa poggiava vengono sottoposte a critica, liberando le donne dal polo subalterno e invisibile in cui erano state relegate e ridefinendo nuove soggettività non più iscritte nelle pratiche di conoscenza e nella socializzazione dei processi di soggettivazione.

Mettendo in atto un’imitazione consapevole dei saperi costituiti, le donne del Centro Culturale miravano alla trasformazione dei saperi, destabilizzandone i significati, gli assunti, espliciti ed impliciti, e i processi, attraverso l’assunzione del punto di vista delle donne e la valorizzazione delle esperienze.
 Attraverso la creazione di un “luogo di separatismo culturale visibile”[2], le donne affermano la loro presenza collettiva nella storia e praticano un nuovo modo di intendere i rapporti tra donne, mettendo al centro della propria conoscenza una referenza al femminile.

1981 e 1982

Il 1981 e 1982 saranno dedicati in prima battuta ad elaborazioni distinte per materia, che avrebbero originato una serie di riflessioni sulle metodologie, la didattica, il rapporto docente discente e sul senso del trovarsi tra donne in una “istituzione” separata.  I diversi gruppi tematici inizieranno presto a comunicare tra loro e a connettersi e scambiarsi riflessioni e approfondire una serie di temi: immaginario, linguaggi cinematografici, epistemologia e logica, l’origine della psicanalisi e la sessualità femminile, etc. a cui seguirà un’ipotesi di ricerca “L’ambiguo materno”[3]: le donne parlano della propria esperienza, recuperano il potere di parola sulla maternità, acquisizione da cui si apriranno una serie di discorsi sul corpo della donna in medicina, sui modelli di maternità e i mezzi di intervento statale per la sua realizzazione, la maternità nella pittura, etc.

1983

Il 1983 sarà l’anno de “L’indecente differenza”[4], si approfondiscono i processi di soggettivazione, differenziazione, identificazione attraverso i quali le donne, non più oggetto di conoscenza, si ripensano e ridefiniscono come soggetti di conoscenza, trasmissione, esperienza. Nello stesso anno il Centro cambia sede, con notevoli limiti nell’organizzazione e nello sviluppo del progetto, in quanto la nuova sede risulta fruibile solo tre volte a settimana. La mancanza di un luogo e di uno spazio di riferimento, incide sull’esigenza di un confronto e di un dibattito continui.
 Il Centro comunque va avanti e lo fa sul tema “L’eccesso” nel 1984 e nel 1985 “Sul limite. Il problema dei confini nell’esperienza femminile”[5] su cui ruoteranno i seminari e nasceranno i gruppi di riflessione. La strutturazione dei corsi per discipline lascia il posto ai gruppi di riflessione, in grado di connettere in modo discorsivo i diversi temi e approcci.

1984

Il 1984 è dedicato dunque all’esperienza dell’”eccesso”, nelle sue varie forme (uscire da sé, rifugiarsi in sé), sottratto alle categorie intellettuali dell’irrazionalità e a quella morale della sfrenatezza definite in termini di ciò che sfugge al controllo, diviene oggetto di ricerca e rielaborazione di qualcosa che va alla ricerca di una forma autentica.

All’interno di questa cornice generale i diversi seminari approfondiranno il tema in molte sue “forme”.

1985

Nel 1985 vengono analizzati i singoli aspetti del “limite”, i confini nell’esperienza femminile, la definizione della differenza sessuale, l’attribuzione del ruolo sessuale, l’esperienza dell’uscita dal limite nelle sue differenti modalità, l’incontro col limite e le risposte delle donne, la ricerca dei limiti, etc.

1986

Nel 1986[6] finalmente viene risolto il problema della sede, sarà all’interno del Buon Pastore, in cui si apre il discorso su “Il soggetto inaudito”. Breve dialogo sulla differenza sessuale”. Il dialogo tra Bia Sarasini e Alessandra Bocchetti sulla differenza sessuale e il pensiero della differenza sessuale, da l’avvio ai seminari, a una serie di workshop su di essa centrati e a conferenze e dibattiti sul tema.

1987

Il 1987 sarà dedicato al tema del “Potere”[7]: sull’argomento, come esplicitato dalle organizzatrici, “esistono reali divergenze”[8], divergenze che vengono esplicitate per “accogliere la sfida difficile e decisiva della pratica delle differenze tra donne”[9]. Il tema del potere viene quindi affrontato da quattro prospettive diverse (filosofia e politica, scienze umane, ricerca scientifica, psicologia e psicoanalisi) e il 1987 si apre con quattro documenti Vincere cosa, vincere cosa. La nostra questione con il potere di Alessandra Bocchetti e Luisa Muraro, Identità e ricerca scientifica di Gabriella Frabotta, Modi di pensare di Francesca Molfino e Problemi di potere e differenza sessuale di Bia Sarasini, alla cui lettura rimandiamo per approfondimento.

1988

Siamo al 1988, anno in cui il titolo del programma appare molto chiaro: Lo stato delle cose: separazione sì, scissione no[10].
 Il Centro si divide in due sezioni distinte, A e B, le divergenze emerse nell’anno precedente e “risolte”con i quattro elaborati di cui sopra, segnano però una frattura che appare non ricomponibile.

Diversi anche i tentativi di “soluzione”: da un lato, Gruppo A, che assumeva il confronto su un tema condiviso, anche partendo da considerazioni diverse, come elemento del proprio metodo, dall’altro, Gruppo B, che riteneva preferibile svolgere un lavoro di approfondimento a partire da posizioni condivise. Non si verifica però una scissione, ma una separazione, come recita il titolo del programma, per non vanificare la ricchezza di elaborazioni accumulata negli anni precedenti. Una scommessa, dicono le organizzatrici del Centro:

“Diverso ci è apparso un progetto di scissione che avrebbe comportato una vera rottura, un vanificarsi delle ricchezze che in questi anni il Centro Culturale Virginia Woolf ha accumulato con il proprio lavoro nel mondo delle donne. Forse è una scommessa: siamo consapevoli di non avere modelli. Con questa scelta cerchiamo di evitare di percorrere una strada che ha portato troppo spesso le donne alla distruzione dei loro progetti e all’azzeramento di quello che insieme avevano saputo costruire. Vogliamo sperimentare con lucidità questa ipotesi, disponibili a verifiche, pronte a nuovi cambiamenti”[11].

Le strade dei due gruppi di lì a qualche anno si separeranno.

Ricchezza dei temi, individuazione  di contenuti e modalità di gestione definite in corso d’opera, alla ricerca di un modo di conoscere, sapere e trasmettere conoscenza nuovi, non assolutizzanti ma ben radicati in pratiche e prese di parola di donne.

Il livello degli scambi, delle elaborazioni, delle pratiche, di altissimo valore per tutte le donne che vi presero parte, ma anche per chi, spettatrice ad anni di distanza, recupera la memoria di questa esperienza di elaborazione teorica e di pratica politica collettive, tentando di interrogarsi sul presente e interrogandosi sul presente osa domandarsi se sia possibile, oltre che necessario, ripetere e moltiplicare, oggi, esperienze di conoscenza di questa portata.

A distanza di anni però alcuni “nodi” sembrano ancora non essere stati sciolti e necessiterebbero di essere ripresi. In particolare, se è vero che il femminismo ha affrontato da diversi punti di vista il tema dell’identificazione del soggetto femminile, sottoponendone a critica i meccanismi di adesione, dislocazione, ridefinizione, non sembrano essere state create condizioni perché questo soggetto collettivo possa trovare spazio in forme di lotta stabili e condivise e dare vita ad una narrazione non identitaria che sia motore e punto di aggancio da cui poter partire per una presa di parola pubblica.

In sostanza, quanto delle elaborazioni teoriche femministe che evidenziavano la necessità di porre le condizioni esistenziali di possibilità per soggettività impreviste[12], eccentriche[13], inaudite è stato fatto proprio nell’esperienza individuale di ognuna e anche in quella collettiva? Se intendiamo l’esperienza come il portare in superficie i processi culturali, metterne in questione i significati sedimentati e saper mettere a frutto concretamente i processi di coscientizzazione culturali, come mai non si riesce a tradurre tutto questo, concretamente, in strumenti di riconoscimento, appartenenza e nominazione e infine lotta?

Ci limitiamo per il momento a porre queste domande, con l’intenzione di aprire uno scambio con chi lo desidererà.